Io non vedo problemi. Solo soluzioni.
venerdì 30 dicembre 2011
mercoledì 14 dicembre 2011
"L'ultima domanda" di Isaac Asimov
Ho trascritto questo racconto di Isaac Asimov da un libro che ho a casa (quindi perdonate se ci sono refusi).
Una cosa che abbiamo in comune io e questo geniale scrittore? Questo è il nostro racconto preferito.
L'ultima domanda venne posta per la prima volta, quasi
per scherzo, il 21 maggio 2061, in un momento in cui l'umanità cominciava a
intravedere finalmente un po' di luce. La domanda era il risultato di una
scommessa di cinque dollari, nata durante una bevuta, ed ecco come andò la
cosa.
Alexander Adell e Bertram Lupov erano due dei fedeli
assistenti addetti a Multivac. Sapevano - così com’era dato saperlo a due
esseri umani - che cosa c'era dietro la fredda, lampeggiante, ticchettante
faccia - chilometri e chilometri di faccia - del gigantesco calcolatore.
Avevano se non altro una nozione vaga del piano generale di relais e di
circuiti che da tempo aveva superato il limite oltre il quale una singola mente
umana non poteva assolutamente conservare una chiara visione d'insieme.
Multivac si auto-regolava e si auto-correggeva. Doveva essere così, perché
nessun essere umano poteva regolarlo o correggerlo con sufficiente rapidità o
in modo adeguato.
Così, Adell e Lupov badavano al mostruoso gigante solo in
modo leggero e superficiale, e al tempo stesso come meglio non era possibile,
trattandosi di uomini. Vi inserivano dati, adattavano le domande alle necessità
del calcolatore e traducevano le risposte che questo forniva. Senza dubbio, tanto loro due che gli altri loro colleghi, avevano pieno diritto di bearsi della
gloria che spettava a Multivac.
Per decenni Multivac aveva dato una mano, per così dire,
a progettare le navi e a calcolare le traiettorie che mettevano in grado gli
uomini di arrivare sulla Luna, su Marte e su Venere ma, al di là di quelli, le
scarse risorse della Terra non consentivano alle navi di affrontare il viaggio.
Troppa energia era richiesta per i lunghi percorsi. La Terra sfruttava le sue
riserve di carbone e di uranio con efficienza crescente, ma in sé quelle
riserve erano limitate.
Lentamente, tuttavia, Multivac aveva imparato quanto
bastava per rispondere in modo più fondamentale a domande più profonde, e il 14
maggio 2061, quella che era stata una teoria, era diventata un fatto concreto.
L'energia del sole veniva ora immagazzinata, trasformata
e utilizzata direttamente, su scala planetaria. La Terra intera poteva spegnere
i suoi fuochi alimentati a carbone e le sue centrali nucleari per far scattare
l'interruttore che connetteva il tutto a una piccola stazione, di un chilometro
e mezzo di diametro, in orbita attorno alla Terra a una distanza che era la
metà di quella della Luna. Tutto sulla Terra funzionava ora grazie agli
invisibili raggi dell'energia solare. Sette giorni non erano bastati a
offuscare la gloria di quell'avvenimento ma Adell e Lupov riuscirono finalmente
a sottrarsi alle celebrazioni pubbliche per rifugiarsi in santa pace dove
nessuno avrebbe pensato di cercarli, ossia nelle deserte sale sotterranee dove
s'intravedevano alcune parti del possente corpo sepolto di Multivac.
Si erano portati una bottiglia, e la loro unica
preoccupazione, al momento, era di rilassarsi l'uno in compagnia dell'altro, con
l'aiuto di un abbondante beveraggio.
"È incredibile, se ci pensi bene" disse Adell.
La larga faccia era segnata dalla stanchezza, ed egli agitava lentamente la
bibita con una cannuccia di vetro, osservando i cubetti di ghiaccio nei loro
stentati spostamenti. “Tutta l'energia che potremmo mai desiderare di usare,
completamente gratuita. Energia a sufficienza, qualora decidessimo di farne
spreco, per fondere tutta la Terra in un unico gocciolone di ferro liquido e
impuro, senza minimamente dar fondo per questo, alla riserva totale. Tutta l'energia
che potremo mai usare, insomma, per sempre, per sempre e ancora per
sempre."
Lupov piegò la testa da un lato. Era un vezzo, che aveva,
quando si metteva in mente di fare il bastian contrario; e ne aveva una gran
voglia, in quel momento, forse perché era toccato a lui procurare ghiaccio e i
bicchieri.
"Per sempre poi no" disse.
"Andiamo, Bert, praticamente per sempre, sì. Fino a
che il sole non sarà scarico, per lo meno."
"Be', non per sempre, allora."
"Ma sì, come vuoi tu. Per miliardi e miliardi di
anni. Venti miliardi, facciamo. Soddisfatto, sì?"
Lupov si passò le dita tra i capelli sempre più radi,
come per assicurarsi che gliene rimanesse ancora qualcuno, e sorseggiò pian
pianino la sua bibita. "Venti miliardi di anni non è per sempre."
"Be', durerà almeno finché ci siamo noi, no?"
"Se è per questo, sarebbero durati anche il carbone
e l'uranio."
"D'accordo, ma ora possiamo allacciare ogni singola
nave alla Stazione Solare, e farla andare e tornare da Plutone un milione di
volte senza doverci più preoccupare del combustibile. Prova a farlo con il
carbone e l'uranio, se sei capace! Del resto, se non mi credi, domandalo a
Multivac."
"Non ho bisogno di domandarlo a Multivac. Lo
so."
"Allora piantala di minimizzare quello che Multivac
ha fatto per noi" disse Adell, accalorandosi "è stato
bravissimo!"
"Chi dice di no? Io dico solo che un sole non dura
in eterno. Basta, non ho detto altro! Per venti miliardi di anni siamo
tranquilli, e poi?" Lupov puntò contro l'altro l'indice che tremava
leggermente. "E non venire a dirmi che potremo attaccarci a un altro
sole."
Per un po', rimasero in silenzio. Solo di tanto in tanto
Adell si portava il bicchiere alle labbra, e Lupov un po' alla volta aveva
chiuso gli occhi. Riposavano, tutti e due. Poi, Lupov riaprì gli occhi di
scatto.
"Stai pensando che, quando il nostro sarà esaurito,
ci attaccheremo a un altro sole, vero?"
"Non sto pensando affatto."
"Sì, invece. Tu manchi di senso logico, ecco qual è
il tuo difetto. Sei come quel tale della storiella, che essendo stato sorpreso
da un acquazzone era corso fino a un boschetto e si era rifugiato sotto un
albero. Era tranquillo, lui, perché pensava che, una volta che si fosse bagnato
ben bene quell'albero lì, non doveva fare altro che spostarsi sotto un
altro."
"Ho capito, sì" disse Adell. "È inutile
che gridi. Una volta spento il nostro sole, anche le altre stelle si saranno
esaurite, nel frattempo."
"Puoi star sicuro che si saranno esaurite."
borbottò Lupov. "Tutto ha avuto origine in una prima esplosione cosmica,
qualsiasi cosa fosse, e tutto avrà una fine quando le stelle si saranno
scaricate ben bene. Alcune si spegneranno più in fretta di altre. Le stelle
giganti dureranno al massimo cento milioni di anni. Il sole durerà venti
miliardi di anni, mettiamo, e le nane potranno durare cento miliardi di anni,
per quel che servono. Ma lascia che passi un trilione d'anni, tutto sarà
sprofondato nel buio. L'entropia deve per forza raggiungere un massimo, tutto
qui."
"So tutto dell'entropia." disse Adell, con un tono di
dignità offesa.
"Davvero? Non si direbbe."
"Ne so tanto quanto te."
"Allora sai anche che tutto finirà per decadere,
prima o poi."
"D'accordo. Chi ha detto il contrario?"
"Tu l'hai detto, povero mammalucco. Hai detto che
avevamo tutta l'energia di cui abbiamo bisogno, per sempre. Hai detto proprio
'per sempre'".
Era Adell, ora, in vena di contraddire. "Può anche
darsi che, un giorno o l'altro, si riesca a ricostituire tutto."
"Mai!"
"Perché no? Un giorno, non so quando."
"Domandalo a Multivac."
"Questo poi no."
"Domandalo a Multivac, ti dico! Facciamo una
scommessa: mi gioco cinque dollari che ti dirà di no anche lui."
Adell era abbastanza brillo per provare, abbastanza in sé
per poter comporre i simboli e le operazioni necessarie per una domanda che, in
parole, sarebbe suonata press'a poco cosi: "Potrà un giorno il genere umano,
senza dispendio di energie, essere in grado di riportare il sole alla sua piena
giovinezza perfino dopo che sarà morto di vecchiaia?".o magari, in maniera
più semplice, si sarebbe potuta formula così: "Com'è possibile diminuire
in modo massiccio il quantitativo di entropia dell'universo?" Multivac si fece immobile e muto. I lenti
lampi di luce cessarono, i lontani rumori del ticchettio dei relais si fermarono.
Poi, proprio quando i due tecnici terrorizzati sentivano di non farcela più a
trattenere il respiro, vi fu un improvviso ritorno alla vita della
telescrivente collegata con quella parte di Multivac. Le parole erano cinque in
tutto: DATI INSUFFICIENTI PER RISPOSTA SIGNIFICATIVA.
"Niente scommessa" bisbigliò Lupov. E insieme
si allontanarono in fretta dal sotterraneo. Il mattino dopo i due amici,
afflitti dal mal di testa e dalla bocca impastata, avevano già dimenticato
l'incidente.
Jerrodd, Jerrodine e Jerrodette I e II osservavano sul
quadro visivo i cambiamenti dello stellato, mentre il passaggio attraverso
l'iperspazio veniva completato in un lasso di nontempo. Tutto a un tratto, il
pulviscolo di stelle cedette il posto alla predominanza di una singola e vivida
biglia, proprio al centro del quadro. -- "Quello è X-23" disse Jerrodd, senza
un attimo di esitazione. Intrecciò con forza le mani scarne dietro di sé, tanto
che le nocche gli si sbiancarono. Le piccole Jerrodette, due sorelline, avevano
fatto per la prima volta in vita loro l'esperienza del passaggio
nell'iperspazio ed erano un po' imbarazzate a causa della momentanea sensazione
di uscire da se stesse. Soffocavano le risate dietro le manine e si
rincorrevano a vicenda attorno alla mamma, facendo un baccano indiavolato.
"Siamo arrivati su X-23" gridavano" siamo
arrivati su X-23... siamo..."
"Buone, bambine" le zittì Jerrodine, in tono
severo. "Sei sicuro, Jerrodd?"
"Come si fa a non esserne sicuri?" ribatté
Jerrodd, levando lo sguardo all'uniforme sporgenza metallica proprio al di
sotto del soffitto. La sporgenza correva lungo tutta la cabina scomparendo poi
attraverso le paratie alle due estremità. Era lunga come l'intera astronave.
Jerrodd non sapeva quasi niente a proposito di quel grosso tubo metallico,
salvo che veniva chiamato Microvac; che, volendo, era possibile rivolgergli
delle domande; che, oltre a rispondere a eventuali domande, aveva il compito di
guidare la nave fino a preordinata destinazione. Inoltre, Microvac provvedeva a
rifornirsi di energia dalle varie Stazioni Erogatrici Sub-Galattiche e, infine,
risolveva equazioni per i balzi iperspaziali. Jerrodd e la sua famiglia non
dovevano fare altro che aspettare comodamente alloggiati nelle cabine
dell'astronave. Qualcuno, una volta, aveva detto a Jerrodd che "AC",
alla fine, Microvac, in inglese antico stava per "calcolatore
analogico", ma era ormai in procinto di dimenticare perfino questo.
Jerrodine aveva gli occhi lucidi, nel fissare il quadro visivo.
"Non so cosa farci. Mi sento molto scossa al
pensiero d'avere lasciato la Terra."
"Ma perché, benedetta donna?" si meravigliò
Jerrodd. "Non avevamo niente, laggiù, mentre su X-23 avremo praticamente
tutto. Non ti sentirai sola, perché non sarai una pioniera: sul pianeta c'è già
un milione e più di persone. Santo cielo, se pensi che i nostri pronipoti
dovranno cercarsi nuovi mondi, perché X-23 sarà già sovraffollato!" Poi,
dopo una pausa di riflessione: "Credi a me, è una vera fortuna che i
calcolatori abbiano risolto il problema dei viaggi interstellari, considerato
il modo in cui si moltiplica la razza."
"Lo so, lo so." convenne Jerrodine, avvilita.
"Il nostro Microvac" saltò su Jerrodette I
"è il Microvac migliore del mondo."
"Certo, lo penso anch'io" disse Jerrodd,
arruffandole i riccioli.
In effetti, era bello poter avere un Microvac tutto per
sé, e Jerrodd era contento di appartenere alla sua generazione. Al tempo in cui
era giovane suo padre, gli unici calcolatori esistenti erano dei tremendi
macchinoni che occupavano centinaia di chilometri quadri di terra. Ce n'era non
più di uno per pianeta. AC Planetari, si chiamavano.
Per migliaia d'anni, non avevano fatto che aumentare di
dimensioni finché, tutt'a un tratto, era subentrato il raffinamento tecnico. Al
posto dei transistori, erano venute le valvole molecolari, per cui perfino il
più grande degli AC Planetari poteva trovar posto in uno spazio pari alla metà
del volume di un’astronave. Jerrodd provava un senso di esaltazione, cosa che
sempre gli accadeva quando si ricordava che il suo Microvac personale era di
gran lunga più complicato dell'antico e primitivo Multivac che per primo aveva
domato il Sole, nonché quasi altrettanto complesso dell'AC Planetario Terrestre
(il più grande di tutti) che per primo aveva risolto il problema del viaggio
interstellare e reso possibile spostarsi da una stella all'altra.
"Tante stelle, altrettanti pianeti" sospirò
Jerrodine, immersa nelle proprie meditazioni. "Le famiglie non faranno che
trasferirsi su nuovi pianeti, per sempre, proprio come stiamo per fare noi
ora."
"Per sempre no" corresse Jerrodd, con un
sorriso. "Un giorno o l'altro, tutto si fermerà, ma prima che accada
dovranno passare miliardi di anni. Molti miliardi. Perfino le stelle si
esauriscono, come ben sai. L'entropia deve per forza aumentare."
"Che cos'è l'entropia, papà?" strillò Jerrodette
II.
"L'entropia, cara, è una.. un termine, ecco.
Significa il quantitativo di decadimento dell'universo. Tutto si... si scarica,
diciamo così. Come il tuo piccolo robot walkie-talkie, ricordi?"
"E non si può inserire una nuova unità-di-energia,
come facevamo per il mio robot?"
"Le stelle sono le unità di energia, mia cara. una
volta esaurite quelle, non ne rimangono più."
All'istante, Jerrodette I scoppiò in un pianto disperato.
"No, no, papà, non voglio! Non lasciare che le stelle si scarichino, papà!"
"Hai visto cos'hai fatto, ora?" bisbigliò
Jerrodine, esasperata.
"Come potevo immaginare che si sarebbero
spaventate?" bisbigliò Jerrodd di rimando.
"Domandalo al Microvac" singhiozzò Jerrodette
I. "Domandagli come si fa per riaccendere le stelle."
"Coraggio, domandaglielo" disse Jerrodine.
"Chissà che non serva a calmarle" anche Jerrodette li aveva
cominciato a piagnucolare . Jerrodd si rassegnò. "Buone, su, bambine. Ora
sentiamo da Microvac, eh? Vedrete che ce lo dirà, state tranquille."
Rivolse la domanda al Microvac, affrettandosi ad
aggiungere: "Rispondi per iscritto."
Qualche istante dopo, faceva sparire nel palmo la sottile
striscia cellufilm e diceva allegramente: "Ecco qua, Microvac dice di non
preoccuparsi, che quando verrà il momento penserà lui a tutto."
"E adesso a letto, bambine" intervenne
Jerrodine. "Tra poco saremo nella nostra nuova casa."
Prima di distruggere la strisciolina di cellufilm,
Jerrodd lesse ancora una volta le parole: DATI INSUFFICIENTI PER RISPOSTA
SIGNIFICATIVA. Con un'alzata di spalle, riportò l'attenzione sul quadro visivo.
X-23 era vicinissimo, ormai.
VJ-23X di Lameth fissò le nere profondità della mappa
tridimensionale su scala ridotta della Galassia e domandò: "Che dici, siamo
ridicoli a preoccuparci tanto della questione?"
MQ-17J di Nicron scosse la testa, "Non direi. Si sa
che, al presente tasso di espansione, nel giro di cinque anni la Galassia si
popolerà completamente." Sembravano entrambi sul principio della ventina, erano
tutt'e due alti e perfettamente formati.
"D'altra parte" osservò VJ-23X "non so se
sia il caso di presentare un rapporto pessimistico al Consiglio
Galattico."
"Io non esiterei, invece. E' il solo rapporto
possibile, secondo me. Li scuoterà un po', si spera. Bisogna scuoterli, caro
mio."
VJ-23X sospirò. "Lo spazio è infinito. Cento
miliardi di Galassie sono là che aspettano d'essere popolate. Ma che dico, di
più!"
"Cento miliardi non sono affatto l'infinito, e per
di più lo sono sempre di meno, a mano a mano che il tempo passa. Ma rifletti!
Ventimila anni fa, l'umanità risolse il problema di come utilizzare l'energia
stellare e, pochi secoli più tardi, il viaggio interstellare divenne una cosa
possibile. Ebbene, l'umanità che aveva impiegato un milione di anni a saturare
un unico, piccolo mondo, da quel momento ne ha impiegati soltanto quindicimila
per riempire il resto del Galassia. Ora, ogni dieci anni la popolazione
raddoppia... Possiamo ringraziare l'immortalità per questo."
Lo interruppe VJ-23X.
"Siamo d'accordo. Ma l'immortalità esiste, e non ci resta che
tenerne conto. Intendiamoci, il suo lato negativo ce l'ha, non lo metto in
dubbio. L'AC Galattico avrà risolto molti problemi, non discuto, ma nel
risolvere quello per prevenire la vecchiaia e la morte, mandandoo a Patrasso
tutte le altre sue soluzioni. E d'altra parte, sii sincero: saresti disposto ad
abbandonare la vita?"
"Neanche per idea" scattò MQ-17J, subito
moderandosi e aggiungendo: "Non ancora. Sono ancora giovane, alla fin
fine. Tu quanti anni hai?"
"Duecentoventitré. E tu?"
"Sono ancora sotto i duecento, io... Ma, per tornare
al discorso di prima, la popolazione, dicevo, raddoppia ogni dieci anni. Una
volta saturata questa Galassia, nel giro di dieci anni ne avremo popolata
un'altra. Altri dieci anni, e ne avremo riempite altre due. Altro decennio, e
ne avremo saturate altre quattro. Tempo un centinaio d'anni, e di Galassie ne
avremo riempite un migliaio. In mille anni, un milione di Galassie. In
diecimila anni, l'Intero Universo conosciuto. E poi?"
"Senza contare" osservò VJ-23X "che esiste
un problema tutt'altro che secondario, ossia quello del trasporto. Mi domando
quante unità di energia solare ci vorranno per trasferire Galassie di individui
da una Galassia all'altra."
"Osservazione quanto mai pertinente! Già oggi,
l'umanità consuma qualcosa come due unità di energia solare all'anno."
"Di cui la maggior parte va sprecata, in fin dei
conti, la nostra Galassia da sola riversa un migliaio di unità d'energia solare
all'anno, di cui noi ne usiamo soltanto due."
"D'accordo, ma anche con un'efficienza del cento per
cento non faremmo che rinviare la fine. Le nostre richieste di energia
aumentano, in proporzione geometrica, anche più rapidamente della nostra
popolazione. Esauriremo l'energia solare prima ancora d'avere esaurito le Galassie.
Hai fatto un'osservazione giusta. Si, giustissima."
"Ci toccherà costruire nuove stelle, ricavandole dal
gas interstellare."
"O dal calore dissipato?" domandò con sarcasmo
MQ-17J.
"Chissà che non esista un modo di invertire
l'entropia? Dovremmo proprio domandarlo all'AC Galattico."
VJ-23X non diceva sul serio, ma MQ-17J estrasse di tasca
il su Contatto-AC e lo posò sul tavolo, davanti a sé.
"Ho una mezza voglia di farlo" disse. "È'
un argomento che la razza umana dovrà pure affrontare, un giorno o
l'altro."
Fissava cupamente il suo piccolo Contatto-AC. In sé,
l'apparecchio era un piccolo cubo insignificante, ma era collegato, attraverso
l'iperspazio, con il grande AC Galattico che serviva tutto il genere umano.
Tenuto conto dell'iperspazio, l'apparecchietto era parte integrale dell'AC
Galattico.
MQ-17J Si soffermò a domandarsi se, nel corso della sua
vita immortale, sarebbe riuscito a vedere da vicino l'AC Galattico. L'AC stava
su un piccolo pianeta tutto suo, ragnatela di linee di forza che abbracciavano la
materia entro la quale ondate di sub-mesoni prendevano il posto delle rozze
valvole molecolari di un tempo. Tuttavia, nonostante i suoi dispositivi
sub-eterici, era risaputo che l'AC Galattico si estendeva per solo trecento
metri.
"Sarà mai possibile invertire l'entropia?"
domandò inaspettatamente MQ-17J al suo Contatto-AC.
VJ-23X trasalì e si affrettò a precisare: "Ma, dì un
po', non pensavo certo che glielo domandassi davvero, sai?"
"Perché no?"
"Perché sappiamo benissimo che non è possibile invertire
l'entropia. Non si può ritrasformare fumo e cenere in un albero."
"Avete alberi sul vostro pianeta?" domandò
MQ-I7J.
Il suono dell'AC Galattico li zittì all'improvviso,
facendoli trasalire. La voce del possente calcolatore usciva bella e un po'
fievole dal piccolo Contatto-AC posato sulla scrivania. DATI INSUFFICIENTI PER
RISPOSTA SIGNIFICATIVA, disse.
"Hai sentito?" mormorò VJ-23X.
Dopo di che, i due uomini ritornarono alla questione del
rapporto da presentare al Consiglio Galattico.
La mente di Zee Prime misurò a spanne la nuova Galassia,
mostrando soltanto un vago interesse per le innumerevoli stelle che la
incipriavano. Sicuramente non l'aveva mai vista, quella. Sarebbe mai riuscito a
vederle tutte? Numerose com'erano, ciascuna con suo carico di umanità... Ma un
carico che era più che altro un peso morto.
Sempre di più, la vera essenza dell'uomo andava ricercata
fuori, nello spazio. Menti, non corpi! I corpi immortali rimanevano laggiù sui
pianeti come sospesi al di sopra del tempo. Talvolta si ridestavano a
un'attività di vita materiale, ma il fenomeno si faceva sempre più raro. Pochi
individui nuovi vedevano la luce e andavano ad aumentare le imponenti masse di
moltitudini, ma che importanza aveva? Non c'era più spazio nell'Universo,
ormai, per nuovi individui.
Zee Prime si scosse dalle sue meditazioni nell'imbattersi
nelle volute lievi di un'altra mente.
"Sono Zee Prime" disse Zee Prime. “E tu?"
"Mi chiamo Dee Sub Wun. La tua Galassia?"
"La chiamiamo soltanto Galassia. E tu?"
"Anche noi la chiamiamo soltanto così. Tutti
chiamano così la loro Galassia. Che male c'è?"
"Ah, figurati! Tra l'altro, sono tutte uguali."
"Proprio tutte, no. Su una particolare Galassia, la
razza umana, deve avere avuto origine, e questo la rende diversa."
"Su quale?" domandò Zee Prime.
"Non saprei. Ma l'AC Universale dovrebbe
saperlo."
"Vogliamo domandarglielo? Ora m'hai messo curiosità."
Le percezioni di Zee Prime si dilatarono fino a che le
Galassie stesse si rimpicciolirono e divennero uno spolverio diverso e più
diffuso sopra uno sfondo assai più vasto. A centinaia di miliardi ve n'erano,
tutte con i loro esseri immortali, tutte recanti il loro carico di
intelligenze, con menti che fluttuavano liberamente nello spazio. Eppure, una di
esse era unica tra tutte, in quanto era la Galassia originale. Una di esse, nel
suo vago e distante passato, aveva un periodo in cui era stata l'unica Galassia
popolata dall'uomo.
Zee Prime ardeva dalla curiosità di vedere quella
Galassia e chiamò: "AC Universale! Su quale Galassia ha avuto origine il
genere umano?"
L'AC Universale udì, poiché su ogni mondo e attraverso
tutto lo spazio aveva pronti i suoi ricettori, e ogni ricettore, attraverso l’iperspazio,
conduceva a qualche punto ignoto dove l'AC Universale si teneva in disparte.
Zee Prime sapeva di un solo uomo i cui pensieri erano
penetrati entro una distanza dalla quale era ancora possibile captare l'AC
Universale, e costui aveva riferito d'avere intravisto a fatica un globo
luminoso, del diametro di mezzo metro.
"Ma è mai possibile che l'AC Universale sia tutto
lì?" aveva domandato Zee Prime.
"La maggior parte di esso." era stata la
risposta "è nell'iperspazio. Sotto quale forma, proprio non saprei
immaginare."
Né alcuno lo poteva, perché ne era passato di tempo, Zee
Prime lo sapeva, dal giorno in cui un uomo aveva avuto una parte sia pure
secondaria nella creazione di un AC Universale. Ciascun AC Universale
progettava e costruiva il suo successore. Ciascun AC, durante la sua esistenza
di un milione di anni e pia, accumulava i dati necessari a costruire un
successore migliore, più complesso ed efficiente, in cui il suo stesso bagaglio
di dati e di individualità sarebbe rimasto sommerso.
L'AC Universale interruppe i pensieri divaganti di Zee
Prime, non con parole ma con una sorta di influsso direttivo. Zee Prima venne
guidato entro il confuso mare delle Galassie fino a che una in particolare si
ingrandì, mostrandosi in tutte le sue stelle. Un pensiero, infinitamente
lontano ma infinitamente chiaro, arrivò a Zee Prime: QUESTA E' LA GALASSIA
ORIGINALE DELL'UOMO.
Ma era identica a tutte le altre, alla fin fine, e Zee
Prime soffocò il suo disappunto. Dee Sub Wun, la cui mente aveva accompagnato
l'altra, domandò all'improvviso: "E una di queste è la stella originale
dell'Uomo?"
LA STELLA ORIGINALE DELL'UOMO E' DIVENTATA UNA NOVA,
rispose l'AC Universale. È UNA NANA BIANCA.
"E gli uomini che ci vivevano sono morti?"
domandò Zee Prime, senza riflettere.
COME SEMPRE IN QUESTI CASI, disse l'AC Universale, PER I
LORO CORPI E' STATO COSTRUITO IN TEMPO UN MONDO NUOVO.
"Eh, già, è vero." disse Zee Prime, ma
ugualmente si sentiva sopraffatto da un senso di vuoto.
La sua mente allentò la presa sulla Galassia originale
dell'Uomo, lasciò che questa si ritraesse bruscamente fino a perdersi tra
l'ammasso confuso di punti luminosi. Si augurava di non rivederla più.
"Che c'è?" domandò Dee Sub Wun. "Qualcosa
che non va?"
"Le stelle stanno morendo. La stella originale è
morta."
"Che c'è di strano? Tutte devono morire."
"Ma quando tutta l'energia si sarà esaurita,
moriranno anche nostri corpi, e tu ed io con loro."
"Ci vorranno miliardi di anni."
"Ma io non voglio che accada, nemmeno tra miliardi
di anni. AC Universale! Come si può impedire che le stelle muoiano?"
Divertito, Dee Sub Wen osservò: "Stai domandandogli
come si potrebbe invertire l'andamento dell'entropia."
PER ORA MANCANO DATI SUFFICIENTI, rispose l'AC
Universale, PER UNA RISPOSTA SIGNIFICATIVA.
Zee Prime lasciò che i suoi pensieri riaffluissero verso
la sua vera Galassia. Non si curò più di Dee Sub Wun, il cui corpo poteva
essere in attesa su una Galassia distante un trilione di anni luce, così come
sulla stella accanto a quella di Zee Prime.
Non aveva importanza.
Desolato, Zee Prime cominciò a raccogliere idrogeno
interstellare con il quale costruirsi una stellina tutta per sé. Se anche le
stelle dovevano morire tutte, prima o poi, per ora era ancora possibile
costruirne qualcuna.
L'Uomo rifletteva tra sé e sé perché, in un certo senso,
mentalmente, l'Uomo era unico. Era formato da trilioni, trilioni e trilioni di
corpi senza età, ciascuno al suo posto, ciascuno immobile e incorruttibile,
ciascuno accudito da automi perfetti e altrettanto incorruttibili, mentre le menti
di tutti quei corpi si fondevano liberamente l'una nell'altra, indistinguibili.
"L'Universo sta morendo. "disse l'Uomo.
Guardò, intorno a sé, le Galassie sempre più fioche.
Le stelle giganti, così spendaccione, si erano spente da
un pezzo. Laggiù, nel buio del più oscuro passato remoto, quasi tutte le stelle
erano nane bianche sul punto di spegnersi. Nuove stelle erano state costruite
con la polvere interstellare, alcune per un processo naturale, altre dall'Uomo
stesso, e anche quelle stavano per decadere. Era ancora possibile far cozzare
tra loro delle nane bianche e, dalle possenti forze così sprigionate, far
scaturire nuove stelle; ma una soltanto ogni mille nane bianche distrutte, e
anche quelle poche, presto o tardi, avrebbero finito per decadere. "Amministrata con estrema oculatezza, secondo i dettagli dell'AC Cosmico" disse l'Uomo "l'energia che ancora rimane nell'Universo durerà miliardi di
anni." "Ciò nonostante" obiettò l'Uomo "prima o poi tutto avrà una fine.
Per quanto oculatamente amministrata, per quanto sfruttata al massimo,
l'energia, una volta spesa, è perduta per sempre, nessuno può sostituirla.
L'entropia non può che aumentare, fino raggiungere un massimo".
"E possibile invertire l'entropia?" domandò
infine l'Uomo. "Sentiamo che cosa ne dice l'AC Cosmico."
L'AC Cosmico li circondava, ma non nello spazio. Neppure
un frammento di AC Cosmico si trovava nello spazio.
Era nell'iperspazio, ed era fatto di qualcosa che non era
né materia né energia. Il problema delle sue dimensioni e della sua natura non
era più traducibile in termini che l'Uomo potesse comprendere.
"AC Cosmico" invocò l'Uomo "è possibile
invertire l'entropia?"
FINORA, rispose
l'AC Cosmico, NON ABBIAMO DATI SUFFICIENTI PER UNA RISPOSTA SIGNIFICATIVA.
"Raccogline altri" ordinò l'Uomo.
LO FARO', disse l'AC Cosmico. LO STO FACENDO DA CENTO
MILIARDI DI ANNI. I MIEI PREDECESSORI E IO Cl SIAMO SENTITI FARE QUESTA DOMANDA
MOLTE VOLTE. TUTTI I DATI CHE HO RIMANGONO INSUFFICIENTI.
"Verrà un tempo" domandò l'Uomo "in cui i
dati saranno sufficienti, o questo problema è insolubile in tutte le
circostanze possibili e immaginabili?"
NESSUN PROBLEMA E'
INSOLUBILE IN TUTTE LE CIRCOSTANZE POSSIBILI E IMMAGINABILI, rispose l'AC
Cosmico.
"Quando avrai i dati sufficienti per rispondere alla
domanda?" volle sapere l'Uomo.
FINORA I DATI SONO INSUFFICIENTI PER UNA RISPOSTA
SIGNIFICATIVA, rispose l'AC Cosmico.
"Continuerai a occupartene?" domandò l'Uomo.
LO FARO', promise l'AC Cosmico.
"Aspetteremo" disse l'Uomo.
Le stelle e le Galassie morirono e si spensero, e lo
spazio, dopo dieci trilioni d'anni di decadimento, divenne nero.
Un individuo alla volta, l'Uomo si fuse con AC, e ciascun
corpo fisico perdeva la sua identità mentale in un modo che, a conti fatti non
si traduceva in una perdita ma in un guadagno.
L'ultima mente dell'Uomo esitò prima della fusione,
contemplando uno spazio che comprendeva soltanto i fondi di un'ultima stella
quasi spenta e nient'altro che materia incredibilmente rarefatta, agitata a
casaccio da rimasugli finali di calore che calava, asintoticamente, verso lo
zero assoluto.
"È questa la fine, AC?" domandò l'Uomo.
"Non è possibile ritrasformare ancora una volta questo caos
nell'Universo? Non può invertire il processo?"
MANCANO ANCORA I DATI SUFFICIENTI PER UNA RISPOSTA
SIGNIFICATIVA, disse AC.
L'ultima mente dell'Uomo si fuse e soltanto AC esisteva,
ormai nell'iperspazio.
Materia ed energia erano terminate e, con esse, lo spazio
e il tempo.
Perfino AC esisteva unicamente in nome di quell'ultima
domanda alla quale non c'era mai stata risposta dal tempo in cui un assistente
semi-ubriaco, dieci trilioni d'anni prima, l'aveva rivolta a un calcolatore che
stava ad AC assai meno di quanto l'uomo stesse all'Uomo.
Tutte le altre domande avevano avuto risposta e, finché
quell'ultima non fosse stata anch'essa soddisfatta, AC non si sarebbe forse
liberato della consapevolezza di sé. Tutti i dati raccolti erano arrivati alla
fine, ormai. Da raccogliere non rimaneva più niente. Ma i dati raccolti
dovevano ancora essere correlati e accostati secondo tutte le relazioni
possibili. Un intervallo senza tempo venne speso a far questo. E accadde, così,
che AC scoprisse come si poteva invertire l'andamento dell'entropia. Ma ormai
non c'era nessuno cui AC potesse fornire la risposta all'ultima domanda.
Pazienza! La risposta - per dimostrazione- avrebbe
provveduto anche a questo. Per un altro intervallo senza tempo, AC pensò al
modo migliore per riuscirci.
Con cura, AC organizzò il programma.
La coscienza di AC abbracciò tutto quello che un tempo
era stato un Universo e meditò sopra quello che adesso era Caos.
Un passo alla volta, così bisognava procedere.
LA LUCE SIA! Disse AC.
E la luce fu...
martedì 15 novembre 2011
Believe it or not!
Credo che le cose possano cambiare, se solo lo si vuole davvero.
Credo in ciò che disse Edmund Burke: "Perché il male trionfi è sufficiente che i buoni rinuncino all'azione".
Credo che il calcio sia 70% culo e 30% polmoni.
Credo che un solo uomo possa fare la differenza.
Credo nel bene, come nel male.
Credo in Mel Brooks!
Credo che la spirale non sia infallibile. E ne sono una prova.
Credo nel non avere tabù.
Credo che la perfezione non esista.
Credo nell'amicizia, e nei veri amici. Credo nella loro importanza e che senza non sopravvivrei.
Credo nella liberalizzazione delle droghe leggere.
Credo che non esistano domande stupide, ma solo risposte stupide.
Credo alle leggi di Murphy e al rasoio di Occam.
Credo nella bontà e nell'intelligenza delle persone, ma so per certo che la maggior parte della gente è meschina, falsa e sopratutto stupida.
Credo nel cavaliere bianco. Ma capisco il cavaliere nero.
Credo che agli uomini non sia biologicamente consentito di pensare e avere un'erezione contemporaneamente.
Credo che la vita dopo la morte non esista.
Credo che nessuno sia normale.
Credo nella procrastinazione.
Credo che l'omosessualità non sia una malattia, e nel sesso prima del matrimonio. "A patto che non ti faccia arrivare tardi alla cerimonia."
Credo nel talento.
Credo che che ci si può sentire soli in una stanza piena di gente.
Credo che i meteorologi dicano solo stronzate.
Credo negli alieni, e nella loro intelligenza superiore. Proprio per questo si tengono alla larga da noi.
Credo nei Darwin Awards e che alcune persone, con la loro morte, permettano l'evoluzione della specie umana eliminando il loro DNA dal patrimonio genetico dell'umanità.
Credo nella curiosità, nel potere della risata e nell'immaginazione.
Credo che gli unici soldi che non fanno la felicità sono quelli degli altri.
Credo in un karma imparziale; in uno che fotte tutti senza pregiudizi.
Credo che il lupo perda il pelo, ma non il vizio.
Credo che i nerd salveranno il mondo!
Credo nel potere della paura, e che questa si possa sconfiggere.
Credo che il caffè seguito da una sigaretta produca un unico risultato.
Credo nell'amore, e che la persona giusta per ognuno di noi esista. Forse.
Credo al caso così come al destino, credo alle coincidenze così come nel fatto che tutto succede per una ragione. Credo soprattutto che nulla possa battere una gran botta di culo.
Credo nell'effetto placebo e nelle frasi fatte.
Credo nell'evoluzione; certi individui sono palesemente l'anello di congiunzione fra l'uomo e la scimmia.
Credo nella pubblicità durante il film, ma non in una ogni tre minuti.
Credo che il 21/12/2012 non sia la data della fine del mondo.
Credo nella musica e nel cantare sotto la doccia.
Credo che senza i cattivi non esisterebbero i buoni.
Credo che la parola sia un'arma potente.
Credo che "dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior".
Credo nell'impossibile.
Credo di credere in troppe cose e che la sto tirando un po' troppo per le lunghe!
Credo in ciò che disse Edmund Burke: "Perché il male trionfi è sufficiente che i buoni rinuncino all'azione".
Credo che il calcio sia 70% culo e 30% polmoni.
Credo che un solo uomo possa fare la differenza.
Credo nel bene, come nel male.
Credo in Mel Brooks!
Credo che la spirale non sia infallibile. E ne sono una prova.
Credo nel non avere tabù.
Credo che la perfezione non esista.
Credo nell'amicizia, e nei veri amici. Credo nella loro importanza e che senza non sopravvivrei.
Credo nella liberalizzazione delle droghe leggere.
Credo che non esistano domande stupide, ma solo risposte stupide.
Credo alle leggi di Murphy e al rasoio di Occam.
Credo nella bontà e nell'intelligenza delle persone, ma so per certo che la maggior parte della gente è meschina, falsa e sopratutto stupida.
Credo nel cavaliere bianco. Ma capisco il cavaliere nero.
Credo che agli uomini non sia biologicamente consentito di pensare e avere un'erezione contemporaneamente.
Credo che la vita dopo la morte non esista.
Credo che nessuno sia normale.
Credo nella procrastinazione.
Credo che l'omosessualità non sia una malattia, e nel sesso prima del matrimonio. "A patto che non ti faccia arrivare tardi alla cerimonia."
Credo nel talento.
Credo che che ci si può sentire soli in una stanza piena di gente.
Credo che i meteorologi dicano solo stronzate.
Credo negli alieni, e nella loro intelligenza superiore. Proprio per questo si tengono alla larga da noi.
Credo nei Darwin Awards e che alcune persone, con la loro morte, permettano l'evoluzione della specie umana eliminando il loro DNA dal patrimonio genetico dell'umanità.
Credo nella curiosità, nel potere della risata e nell'immaginazione.
Credo che gli unici soldi che non fanno la felicità sono quelli degli altri.
Credo in un karma imparziale; in uno che fotte tutti senza pregiudizi.
Credo che il lupo perda il pelo, ma non il vizio.
Credo che i nerd salveranno il mondo!
Credo nel potere della paura, e che questa si possa sconfiggere.
Credo che il caffè seguito da una sigaretta produca un unico risultato.
Credo nell'amore, e che la persona giusta per ognuno di noi esista. Forse.
Credo al caso così come al destino, credo alle coincidenze così come nel fatto che tutto succede per una ragione. Credo soprattutto che nulla possa battere una gran botta di culo.
Credo nell'effetto placebo e nelle frasi fatte.
Credo nell'evoluzione; certi individui sono palesemente l'anello di congiunzione fra l'uomo e la scimmia.
Credo nella pubblicità durante il film, ma non in una ogni tre minuti.
Credo che il 21/12/2012 non sia la data della fine del mondo.
Credo nella musica e nel cantare sotto la doccia.
Credo che senza i cattivi non esisterebbero i buoni.
Credo che la parola sia un'arma potente.
Credo che "dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior".
Credo nell'impossibile.
Credo di credere in troppe cose e che la sto tirando un po' troppo per le lunghe!
How beautiful
Sono eternamente divisa fra il mio cinismo e la mia disperata ricerca di qualcuno o di qualcosa che mi dimostri che ho torto.
venerdì 4 novembre 2011
domenica 23 ottobre 2011
Sic
"Non hai paura di ammazzarti se fai un incidente?"
"No, si vive di più andando cinque minuti al massimo su una moto come questa, di quanto non faccia certa gente in tutta una vita intera."
(Marco Simoncelli)
(Marco Simoncelli)
Muore a 24 anni un futuro campione del mondo
venerdì 21 ottobre 2011
giovedì 22 settembre 2011
R.E.M.
Grazie mille per questi 31 anni di musica, ragazzi.
martedì 12 aprile 2011
One Year Later..
Cavolo.. Più di un anno che non scrivo.
Forse è che ho poco tempo.. Anche ora dovrei fare qualcos'altro, invece di stare qui. Forse è che non ho più l'ispirazione.. Ed è un sacco di tempo che non mi sento ispirata, in effetti.
Forse è perchè sono più felice: ho sempre pensato che le persone scrivono solo quando sono tristi. Se si è felici è perchè si esce, si ride, si vive. Si scrive della vita, ma quando non stai "vivendo".
Vi lascio con la prima canzone che ho sentito oggi alla radio. "Bad Day" dei R.E.M.
Un buon auspicio, eh?
Forse è che ho poco tempo.. Anche ora dovrei fare qualcos'altro, invece di stare qui. Forse è che non ho più l'ispirazione.. Ed è un sacco di tempo che non mi sento ispirata, in effetti.
Forse è perchè sono più felice: ho sempre pensato che le persone scrivono solo quando sono tristi. Se si è felici è perchè si esce, si ride, si vive. Si scrive della vita, ma quando non stai "vivendo".
Ezra Pound ha scritto che a diciotto anni pensava sempre che ogni sua poesia fosse l'ultima. Non so se è perchè pensava che sarebbe morto giovane, ma io l'ho sentita molto mia. E non perchè spero o penso di morire giovane (anzi!).
Flusso di pensieri.
Che post del cavolo.
Ma almeno ho scritto.
Vi lascio con la prima canzone che ho sentito oggi alla radio. "Bad Day" dei R.E.M.
Un buon auspicio, eh?
Ezra Pound in un intervista disse: "Questo è il mio consiglio ai giovani: avere curiosità."
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